In Italia, come in molti altri paesi, i dipendenti hanno diritto al congedo per malattia in caso di malattia o infortunio. Tuttavia, esiste un periodo massimo di congedo per malattia dopo il quale un datore di lavoro può decidere di interrompere il rapporto di lavoro, e questo è stato un argomento di dibattito per anni, purtroppo non ancora risolto.
Il periodo di comporto di una malattia è il periodo massimo di congedo per malattia: se il dipendente non lo rispetta scatta il licenziamento. Il tetto massimo è previsto nei contratti collettivi di lavoro, in assenza in un contratto collettivo si fa riferimento a un “periodo fissato dagli usi o secondo equità“. Superato il periodo di comporto, quasi tutti i contratti offrono al lavoratore dipendente di chiedere un altro periodo di aspettativa, non retribuito. Non tutte le malattie e infortuni rientrano nel periodo di comporto, ad esempio viene fatta eccezione per le assenze a causa dell’interruzione di una gravidanza o di terapie salvavita particolari.
Come funziona il periodo di comporto?
La logica alla base del periodo di comporto è quella di trovare un equilibrio tra la protezione dei diritti dei dipendenti che si ammalano e gli interessi dei datori di lavoro che hanno bisogno di mantenere una forza lavoro produttiva. Si presume che un periodo di 12 mesi sia sufficiente perché un datore di lavoro valuti le condizioni mediche del dipendente.
Tuttavia, il periodo di comporto è stato criticato da alcuni per essere troppo breve, soprattutto nei casi di malattie croniche o di lunga durata. In questi casi, 12 mesi potrebbero non essere sufficienti per riprendersi completamente e i dipendenti potrebbero essere licenziati ingiustamente prima che abbiano avuto la possibilità di tornare al lavoro. Inoltre, il periodo di comporto può scoraggiare alcuni datori di lavoro dall’assumere persone con una storia di malattie croniche, in quanto possono essere viste come una responsabilità.
Per rispondere a queste preoccupazioni, ci sono stati appelli per estendere il periodo di comporto in Italia. Ad esempio, alcuni esperti hanno proposto di aumentare il periodo a 24 o addirittura 36 mesi, soprattutto per le malattie croniche che richiedono periodi di recupero più lunghi. Altri hanno suggerito che il periodo di comporto dovrebbe essere abolito del tutto e che i datori di lavoro dovrebbero essere tenuti a fornire sistemazioni per i dipendenti con disabilità o malattie croniche. Bisogna anche specificare che la situazione può cambiare anche in base al tipo di lavoro, perché a livello fisico si fa meno fatica a lavorare per un’azienda di marketing che si occupa di realizzare siti web, rispetto ad un lavoro in fabbrica.
Cosa ne pensano i datori di lavoro
Tuttavia, è probabile che eventuali modifiche al periodo di comporto siano controverse, in quanto avrebbero implicazioni significative sia per i datori di lavoro che per i dipendenti. Ad esempio, l’estensione del periodo di comporto aumenterebbe i costi per i datori di lavoro che dovrebbero continuare a pagare il congedo per malattia per periodi di tempo più lunghi. Inoltre, potrebbe rendere più difficile per i datori di lavoro licenziare dipendenti non produttivi che sono stati assenti dal lavoro per periodi prolungati.
D’altra parte, l’abolizione del periodo di comporto creerebbe nuove sfide per i datori di lavoro che dovrebbero trovare modi per accogliere i dipendenti con disabilità o malattie croniche. Ciò potrebbe richiedere investimenti significativi in sistemazioni sul posto di lavoro, come attrezzature specializzate o orari di lavoro flessibili o modalità smart working, opzioni che potrebbero non essere fattibili per tutte le aziende. La questione è molto delicata, non è facile trovare un equilibrio tra la tutela dei diritti dei lavoratori e gli interessi dei datori di lavoro. Sebbene possano esserci valide ragioni per estendere o abolire il periodo di comporto, qualsiasi modifica deve essere attentamente considerata per evitare conseguenze indesiderate.
Nel frattempo, i dipendenti che si ammalano o subiscono un infortunio devono essere consapevoli dei loro diritti previsti dallo Statuto dei Lavoratori. Oltre al congedo per malattia, i dipendenti possono avere diritto ad altri benefici come l’assistenza medica, il risarcimento per la perdita di salario e le indennità di invalidità. I datori di lavoro, da parte loro, dovrebbero garantire di disporre di politiche e procedure adeguate per gestire le richieste di congedo per malattia e per rispettare i requisiti di legge.